Tenuto conto delle corrispettive prestazioni che gravano in capo alle parti nell’adempimento del contratto di lavoro subordinato, si pone la questione di quale sia la sorte del contratto di lavoro nell’ipotesi in cui la prestazione retributiva del datore di lavoro divenga impossibile a causa della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore.
La previsione di carattere generale, contenuta nella legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e successive modifiche ed integrazioni), deputata a regolare gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti ed in particolare sui contratti ancora ineseguiti o non completamente eseguiti da entrambe le parti, è l’art. 72 L.F.

In base a tale norma, la sentenza di fallimento produce i seguenti effetti
– l’esecuzione del contratto è sospesa;
– previa autorizzazione del Comitato dei creditori, il curatore fallimentare può:
dichiarare di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi;
oppure:
sciogliersi dal medesimo, eccetto in caso di contratti ad effetti reali se il trasferimento del diritto è già avvenuto.

Per fornire una risposta alla questione sopra esposta, occorre accertare se la disciplina prevista dall’art. 72 L.F. sia idonea a regolare i contratti di lavoro subordinato in corso di esecuzione alla data della sentenza dichiarativa di fallimento.
Al riguardo, va rilevato che l’art. 72 L.F. – sebbene rappresenti la regola generale – non trova diretta ed immediata applicazione nello specifico settore dei contratti di lavoro, in quanto il fallimento del datore di lavoro non produce di per sé un automatico effetto sospensivo del contratto in corso.

In questosenso dispone il dettato dell’art. 2119, co. 2, c.c., il quale esclude che il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa possano integrare “una giusta causa di risoluzione del contratto”.
La ratio sottesa alla norma citata è quella di offrire un ampio margine di tutela al prestatore di lavoro, consentendo di proseguire il rapporto anche con un soggetto diverso dal datore di lavoro ovvero con la parte che è onerata, per legge, a garantire la continuità dei rapporti ineseguiti o non completamente eseguiti nel momento in cui interviene il fallimento.

Alla luce di tale previsione, il curatore, laddove ravvisi la sussistenza dei presupposti e/o particolari esigenze, può continuare il rapporto di lavoro, nel caso in cui egli abbia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa ed abbia acquisito l’autorizzazione del Comitato dei creditori.
In caso contrario, qualora a seguito del fallimento del datore di lavoro, l’attività aziendale non possa proseguire, il curatore può recedere dal contratto di lavoro, intimando ai lavoratori il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La procedura deve seguire le solite regole e quindi avvenire per scritto, argomento su cui è possibile vedere questa guida sulla lettera di licenziamento sul sito Guidelavoro.net.

In caso di scioglimento del rapporto di lavoro, al lavoratore spetta:
– il pagamento in prededuzione dell’indennità sostitutiva del preavviso;
– l’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR), anticipato dal Fondo di garanzia istituito presso l’INPS.

Il curatore può, inoltre, richiedere – nel rispetto delle procedure previste dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modifiche ed integrazioni – l’adozione dei seguenti interventi:
– cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS);
– procedura di mobilità, al termine del periodo di cassa integrazione (art. 4, L. n. 223/1991).

In materia, va segnalata la recente decisione della Cassazione, che, con sentenza 11 novembre 2011 n. 23665, ha dichiarato l’inefficacia dei licenziamenti collettivi disposti dalla Curatela di un’impresa dichiarata fallita senza aver previamente attuato la procedura in materia di mobilità prevista dall’art. 4, L. n. 223/1991, richiamato dall’art. 24, L. n. 223/1991.

I giudici di legittimità hanno osservato che anche la Curatela Fallimentare deve rispettare le disposizioni procedurali previste dalla legge per i licenziamenti per riduzione di personale.
Nello specifico, il caso in esame riguardava una lavoratrice alla quale la Curatela Fallimentare aveva intimato il licenziamento per riduzione del personale senza aver preventivamente esperito la procedura prescritta dall’art. 4, L. n. 223/1991.

La Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla Curatela Fallimentare, ritenendo conforme al diritto la decisione del Giudice del Lavoro, confermata dalla Corte d’Appello, di accogliere la domanda proposta dalla lavoratrice e dichiarare inefficace il licenziamento, non avendo la Curatela Fallimentare attivato la procedura prevista.